Sentenza n. 243 del 2005

SENTENZA N. 243

ANNO 2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Fernanda CONTRI: Presidente

Giudici: Piero Alberto CAPOTOSTI; Guido NEPPI MODONA; Annibale MARINI; Franco BILE; Giovanni Maria FLICK; Francesco AMIRANTE; Ugo DE SIERVO; Romano VACCARELLA; Paolo MADDALENA; Alfio FINOCCHIARO; Alfonso QUARANTA; Franco GALLO.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62 (Individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita), promosso con ordinanza del 14 maggio 2003 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sui ricorsi riuniti proposti da Consorzio Operatori Grand’Affi Shopping Center ed altri contro la Provincia di Verona, iscritta al n. 678 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di costituzione del Consorzio Operatori Grand’Affi Shopping Center ed altra e del Comune di Affi ed altri, nonché l’atto di intervento della Regione Veneto;

udito nell’udienza pubblica dell’8 marzo 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;

uditi gli avvocati Luigi Manzi per il Consorzio Operatori Grand’Affi Shopping Center ed altra, Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto e Giovanni Sala per il Comune di Affi ed altri.

Ritenuto in fatto

1. – Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62 (Individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita), che stabiliscono i criteri ed i requisiti per la individuazione – da parte delle province, cui l’art. 1 della stessa legge attribuisce tale funzione – rispettivamente dei Comuni «a prevalente economia turistica» e delle «città d’arte», ai fini delle deroghe agli orari degli esercizi commerciali previste dall’art. 12 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Il giudice a quo premette di essere investito dei ricorsi – riuniti – proposti dai Comuni di Affi, Castelnuovo del Garda, Cavaion Veronese, Costernano, Pastrengo e Rivoli Veronese, nonché da numerosi operatori commerciali, aventi ad oggetto la richiesta di annullamento della deliberazione della Giunta provinciale di Verona con la quale, sulla base delle norme impugnate, erano stati fissati i «criteri per l’applicazione delle deroghe agli orari di vendita per i Comuni a economia prevalentemente turistica e città d’arte»; nonché della determinazione dirigenziale della medesima Provincia, con cui era stato negato ai Comuni ricorrenti il riconoscimento della qualità di Comuni «a prevalente economia turistica»: riconoscimento che avrebbe comportato la possibilità, per gli esercizi commerciali ubicati nel territorio dei predetti Comuni, di effettuare l’apertura per la vendita – nel periodo dal 15 marzo al 4 novembre – anche nei giorni domenicali e festivi.

A fondamento del ricorso, i ricorrenti avevano in particolare dedotto che i territori dei Comuni interessati risultavano posti a breve distanza dal lago di Garda, in zona divenuta punto di passaggio obbligato per grandi masse di turisti diretti verso quel comprensorio; e che i medesimi territori erano già stati riconosciuti «località ad economia turistica» con deliberazione del Presidente della Giunta regionale del 1983, sulla base della disciplina vigente anteriormente all’entrata in vigore della legge regionale del Veneto n. 62 del 1999.

Il rimettente riferisce, altresì, di aver già sollevato, nell’ambito del medesimo giudizio, analoga questione di legittimità costituzionale, con riferimento, tra l’altro, all’originario testo dell’art. 117 Cost.: questione in relazione alla quale, peraltro, questa Corte aveva disposto la restituzione degli atti al giudice a quo, a fronte delle modifiche apportate al titolo V della Parte II della Costituzione dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e della conseguente necessità di un nuovo esame della questione alla luce del sopravvenuto mutamento del quadro normativo.

Riassunto il giudizio da alcuni dei ricorrenti, la difesa di questi ultimi aveva nuovamente proposto eccezione di illegittimità costituzionale, anche in riferimento al nuovo testo dell’art. 117 Cost. introdotto dalla citata legge di riforma costituzionale: questione che il giudice a quo ritiene rilevante e non manifestamente infondata.

Al riguardo, il rimettente muove dalla considerazione che la legge costituzionale n. 3 del 2001, riscrivendo – tra gli altri – gli artt. 117 e 118 Cost., ha impostato su basi del tutto diverse, rispetto all’assetto previgente, la distribuzione delle potestà tra Stato e Regioni, in particolare affidando alla competenza legislativa residuale — e, dunque, esclusiva — delle seconde la materia del commercio (art. 117, quarto comma, Cost.). L’attuale riparto di competenze — che pure sembrerebbe «legittimare ex post» il potere legislativo esercitato con la legge regionale n. 62 del 1999, la quale era stata sospettata di incostituzionalità, con l’originaria censura, sotto il profilo della carenza della potestà legislativa regionale nella predetta materia – non escluderebbe, peraltro, l’insorgenza di nuovi e diversi dubbi di legittimità costituzionale della medesima legge in riferimento all’art. 117 Cost.: e ciò segnatamente in rapporto all’invasione da parte del legislatore regionale di un ambito – quello della tutela della concorrenza – che la novellata norma costituzionale riserva alla potestà esclusiva dello Stato. Porre regole e limiti in tema di orari e giorni di apertura degli esercizi commerciali significherebbe, difatti, incidere sulla libertà di iniziativa economica: libertà che risulterebbe ampliata per gli esercizi situati nei Comuni riconosciuti «a prevalente economia turistica»; e ristretta, invece, per altri soggetti che – pure operanti nel settore commerciale, e dunque concorrenti – non possono godere delle medesime deroghe.

In proposito, ad avviso del rimettente, l’assunto secondo cui la tutela della concorrenza comunque rileva, allorquando venga in considerazione la libertà di iniziativa economica, si fonda sul presupposto che la tutela della concorrenza «è materia soltanto da un punto di vista trasversale», nel senso che essa riguarda «diverse altre materie in senso proprio, disciplinate da specifici assiemi normativi». Il giudice a quo aggiunge, tuttavia, che detta tesi «parrebbe provare troppo», in quanto, ragionando in tal modo, l’ambito della competenza legislativa esclusiva delle Regioni verrebbe notevolmente ristretto, «così riprendendosi il sistema buona parte di quello che aveva concesso». Nonostante ciò, la questione non potrebbe dirsi manifestamente infondata, tenuto conto segnatamente dell’innegabile esigenza di «tracciare i confini tra le varie materie concernenti il riparto della potestà legislativa fra Stato e Regioni»; e tenuto conto del fatto «che comunque il Collegio si vede costretto a inviare nuovamente alla Corte gli atti», per gli altri profili e dubbi di costituzionalità, talché «si ritiene di sottoporle anche detto profilo».

L’art. 2 della legge regionale del Veneto n. 62 del 1999 contrasterebbe, altresì, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, enunciato dall’art. 97 Cost., e con il principio di «proporzionalità dell’azione amministrativa»: ciò in quanto la competenza legislativa regionale sarebbe stata comunque esercitata in modo irragionevole ed intrinsecamente incoerente.

La previsione del comma 1 del predetto articolo — in forza della quale possono essere individuati come «a prevalente economia turistica» solo i Comuni «situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale … con almeno millecinquecento posti letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere» — si tradurrebbe, infatti, in uno «sbarramento» al riconoscimento della qualità in parola del tutto irrazionale, e dunque lesivo, sotto vari profili, anche dell’art. 3 Cost. Innanzitutto, il requisito del numero dei posti-letto risulterebbe eccessivo ed irragionevole: tanto in assoluto; quanto in relazione al fatto che esso viene riferito al territorio di ogni singolo Comune, e non già ad un ambito più vasto, quale il comprensorio territoriale di più Comuni contigui. In secondo luogo, il legislatore regionale avrebbe potuto, più ragionevolmente, considerare il requisito dei posti-letto non quale condizione imprescindibile, ma quale semplice «indicatore» della qualità di Comune ad «economia prevalentemente turistica», alla stregua di altri indici (come, ad esempio, il rapporto tra popolazione residente e numero di presenze in esercizi alberghieri, o quello tra imprese turistiche ed occupati nelle stesse), che i Comuni interessati a detta qualificazione sono tenuti a documentare. In terzo luogo, l’esclusione della prevalente economia turistica in ragione della sola collocazione del territorio comunale – e, in particolare, della sua collocazione in pianura – si tradurrebbe in una restrizione incongrua e discriminatoria. Il tutto senza considerare che, nella specie, è stata negata ai Comuni ricorrenti una qualità loro riconosciuta da tempo sulla base della legislazione previgente e sulla quale, quindi, essi riponevano un «ragionevole affidamento … anche per il futuro».

2. – Si sono costituiti nel giudizio di costituzionalità il Consorzio operatori “Grand’Affi shopping center” e l’operatore commerciale Le Follie s.n.c., ricorrenti nel giudizio principale, i quali – condividendo le argomentazioni della ordinanza di rimessione – hanno chiesto che la questione venga accolta nei termini prospettati dal giudice a quo. In particolare, nella memoria di costituzione, le parti private insistono sulla circostanza che le regole ed i limiti in tema di orari e giorni di apertura di esercizi commerciali inciderebbero sulla concorrenza tra i diversi operatori commerciali; e che, per altro verso, i requisiti introdotti dalla legge regionale censurata, ai fini del riconoscimento più volte richiamato, risulterebbero del tutto illogici ed irragionevoli. Secondo le parti private, la rigida preclusione posta dai due concorrenti requisiti sopra indicati introdurrebbe una discriminazione per quei Comuni che, privi di tali requisiti, risultino comunque sostenuti da un’economia fortemente dipendente dai flussi turistici.

3. – Anche i Comuni di Affi, Costermano, Pastrengo, Rivoli Veronese, Cavaion Veronese si sono costituiti nel presente giudizio, con una memoria nella quale svolgono argomentazioni adesive a quelle contenute nell’ordinanza di rimessione ed analoghe a quelle delle parti private, chiedendo l’accoglimento della questione. In particolare, i Comuni – premesso di aver stipulato tra loro una convenzione per l’esercizio coordinato dell’attività di promozione turistica – evidenziano la «vocazione turistica» dei loro territori: vocazione, per contro, irragionevolmente esclusa dai criteri stabiliti nella legge impugnata, la quale assume come unico, determinante criterio, per l’individuazione dell’economia prevalentemente turistica, quello del numero dei posti-letto, peraltro irragionevolmente riferito non ad un comprensorio di più Comuni, ma al territorio di uno soltanto. Infine, gli enti in questione insistono nel censurare sia la disparità di trattamento tra i vari Comuni – per il solo dato estrinseco dell’ubicazione – scaturente dall’applicazione della legge censurata; sia l’irragionevolezza di una modifica in senso sfavorevole di un beneficio già goduto sulla scorta della normativa previgente: modifica, questa, che contrasta con il principio dell’affidamento del cittadino.

4. – È intervenuta la Regione Veneto, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

La difesa della Regione contesta, innanzitutto, l’ammissibilità della questione sollevata in relazione al nuovo testo dell’art. 117 Cost.: ciò in quanto  il giudice a quo svolgerebbe le proprie argomentazioni in termini problematici, invocando l’intervento della Corte «in modo essenzialmente perplesso» ed in relazione ad un dubbio che origina, in realtà, non dalla ritenuta incostituzionalità della disciplina censurata, ma dalla complessità e delicatezza della materia in questione. Inoltre, la circostanza – evidenziata nell’ordinanza di rimessione – che la disciplina del commercio rientri, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., nella potestà legislativa delle regioni, dimostrerebbe con evidenza l’inaccettabilità di una interpretazione la quale, esasperando la competenza statale sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera e), in tema di concorrenza, renderebbe incompatibile con la Costituzione ogni normativa regionale avente un rilievo «nei rapporti tra imprese o una ricaduta sul mercato».

La questione prospettata sarebbe comunque infondata posto che per “regole generali della concorrenza”, ai fini della competenza statale, non potrebbero certo intendersi tutte le misure regolamentari ed amministrative che incidono su una attività economica (in esse comprese le autorizzazioni o gli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali), pena la limitazione eccessiva – o, meglio, la totale compressione – della stessa competenza regionale esclusiva nella materia del commercio. 

Con riferimento, poi, alle censure di violazione dell’art. 97 Cost., la difesa della Regione Veneto ne rileva in primo luogo l’inammissibilità, giacché con esse il rimettente avrebbe contestato il merito della scelta discrezionale operata dal legislatore regionale, piuttosto che la legittimità costituzionale di essa. Il rimettente, in sostanza, contrapporrebbe le proprie valutazioni a quelle del legislatore regionale, deducendo, in modo del tutto generico, l’irragionevolezza della disciplina censurata, senza tuttavia pervenire ad alcuna dimostrazione di essa: aspetto, questo, imprescindibile per ipotizzare la violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione.

Infine, con riferimento alle censure di violazione dell’art. 3 della Costituzione, la Regione rileva l’impossibilità di comparare la situazione ambientale dei Comuni montani, litoranei, lacuali e termali con quella degli altri Comuni, palese essendo che la diversità delle caratteristiche è idonea a fondare la differente disciplina normativa. Anche per tale profilo, la pretesa illegittimità costituzionale si tradurrebbe in una censura “di merito” sulla scelta legislativa, come tale inammissibile.

5. – Con memorie depositate in prossimità dell’udienza, le parti e la Regione Veneto hanno richiamato e sviluppato le argomentazioni precedentemente svolte.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto dubita, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3  della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62 (Individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita). L’art. 2 fissa i criteri per la individuazione – da parte delle province, cui tale funzione è delegata dall’art. 1 della stessa legge – dei Comuni a prevalente economia turistica, stabilendo, in particolare, che possono essere identificati come tali solo i Comuni situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale, con almeno millecinquecento posti letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere; analogamente, l’art. 3 stabilisce i requisiti per l’individuazione delle città d’arte. Entrambe tali qualificazioni – Comuni “ad economia prevalentemente turistica” e “città d’arte” – risultano finalizzate all’applicazione delle deroghe agli orari degli esercizi commerciali, previste dall’art. 12 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59); con  conseguente possibilità, per gli esercizi commerciali ricadenti nel territorio di tali Comuni o città, di effettuare l’apertura per la vendita, nel periodo dal 15 marzo al 4 novembre, anche nei giorni domenicali e festivi.

Secondo il giudice a quo, le disposizioni censurate contrasterebbero, in primo luogo, con l’art. 117 Cost., in quanto la fissazione di regole e limiti in tema di orari e giorni di apertura di esercizi commerciali, incidendo sulla libertà di iniziativa economica, verrebbe ad interferire su una materia, quale la tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Le medesime disposizioni violerebbero, poi, l’art. 97 Cost., giacché i criteri previsti ai fini del riconoscimento della qualità di Comune «ad economia prevalentemente turistica», risultando del tutto incongrui ed irragionevoli, contrasterebbero con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e con quello di «proporzionalità dell’azione amministrativa».

Sarebbe infine violato l’art. 3 Cost. sotto vari profili: per la disparità di trattamento tra Comuni ubicati in zone montane, litoranee, lacuali e termali e tutti gli altri, che vedrebbero preclusa la possibilità di essere individuati quali Comuni ad economia prevalentemente turistica; per la irragionevole impossibilità di riferire il requisito dei posti letto ad un ambito territoriale più ampio di quello comunale; per la violazione del principio dell’affidamento, in quanto, dall’applicazione delle norme censurate, risulterebbe pregiudicata la posizione di Comuni che, in precedenza e per lungo tempo, erano stati considerati territori a prevalente economia turistica ed i cui esercizi commerciali avevano, pertanto, beneficiato della deroga dell’apertura festiva e degli orari.

2. – Nessuno specifico argomento è svolto con riferimento all’art. 3 della legge  regionale del Veneto n. 62 del 1999: tale norma è, infatti, menzionata solo una volta nella motivazione – e non anche nel dispositivo – dell’ordinanza di rimessione, la quale svolge argomenti esclusivamente in ordine all’impugnativa dell’art. 2 della medesima legge regionale, in coerenza, d’altra parte, con il contenuto dei ricorsi oggetto del giudizio a quo. La questione relativa all’art. 3 di detta legge deve pertanto ritenersi manifestamente inammissibile.

3. – Anche la questione relativa all’art. 2 della medesima legge è inammissibile, con riferimento al parametro di cui all’art. 117 Cost.

Il giudice rimettente prospetta tale questione in modo contraddittorio, ritenendo possibili due distinte e contrapposte  letture del parametro costituzionale considerato, senza peraltro risolvere tale antinomia ermeneutica attraverso una scelta argomentata; ed, anzi, sollevando la questione essenzialmente ai fini dello scioglimento dell’alternativa stessa.

Per un verso, infatti, il giudice a quo afferma che la tutela della concorrenza «viene certamente in rilievo in relazione alla libertà di iniziativa economica», così prospettando l’indissolubile correlazione che legherebbe ogni fenomeno incidente sulla libertà di iniziativa economica alla materia della tutela della concorrenza, nella quale lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, a norma dell’art. 117, secondo comma,  lettera e), Cost. Per un altro verso, tuttavia, lo stesso Tribunale rimettente asserisce, subito dopo, che tale tesi «parrebbe provare troppo», implicando una eccessiva restrizione dell’ambito della competenza residuale delle regioni.

Tale contrastante quadro interpretativo deve essere necessariamente risolto dal giudice rimettente, assegnando un preciso significato non soltanto alla norma di legge oggetto di censura, ma anche a quella di rango costituzionale che si assume a parametro, prima di prospettare un problema di conformità della prima alla seconda. La questione deve essere dichiarata pertanto in parte qua inammissibile per carenza dei requisiti di chiarezza ed univocità del relativo quesito.

4. – La questione è poi infondata con riferimento ai vari profili che evocano un contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

In proposito, giova rilevare come la normativa regionale censurata tragga origine e fondamento dalla disposizione contenuta nell’art. 12 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, la quale stabilisce che, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore di esso, le regioni «individuano i Comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi» nei quali gli esercizi commerciali possono esercitare la facoltà di determinare liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall’obbligo  di chiusura domenicale e festiva dell’esercizio. La Regione Veneto, in attuazione di tale prescrizione, ha emanato la legge regionale oggetto della presente questione, prevedendo in essa (art. 1) la delega alle province per l’individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte, con le modalità ed i criteri indicati negli artt. 2 e seguenti della medesima legge.

Ciò premesso, non appare fondata la censura di violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento tra Comuni ubicati in zone montane, litoranee, lacuali e termali e quei Comuni che, pur potendo vantare il carattere prevalentemente turistico delle rispettive economie, si trovino diversamente ubicati. In proposito, va ribadito che rientra nella discrezionalità del legislatore la valutazione finalizzata a differenziare, sulla base di criteri generali, la composita realtà territoriale, ai fini dell’attribuzione di specifiche qualificazioni della stessa, sia pure con il consueto, generale limite della non palese arbitrarietà ed irragionevolezza. D’altra parte, «essendo qualsiasi disciplina destinata, per sua stessa natura, ad introdurre regole e, dunque, ad operare distinzioni, qualunque normativa positiva finisce per risultare necessariamente destinata ad introdurre, nel sistema, fattori di differenziazione» (v. sentenza n. 89 del 1996). Ne consegue che l’apodittica censura circa la disparità di trattamento tra Comuni, avanzata dal rimettente, omette di considerare che i criteri dettati dalla norma – per il riferimento ad una collocazione del territorio comunale in zone, quali quelle montane, litoranee, lacuali e termali, certamente rivelatrici di una vocazione turistica; nonché per il valore attribuito, nel medesimo senso, ad una significativa ricettività alberghiera – non soltanto non risultano discriminatori o arbitrari, ma neppure appaiono improntati ad una intrinseca palese irragionevolezza. Peraltro, il Tribunale rimettente – più che dimostrare l’asserita irragionevolezza della norma – nel prospettare la censura travalica in apprezzamenti che sconfinano nel merito delle opzioni legislative, contrapponendo, ai criteri dettati nella norma censurata, canoni e valutazioni che esulano, evidentemente, da profili di legittimità costituzionale.

5. – La questione è manifestamente infondata con riferimento all’art. 97 Cost.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione – richiamato dal rimettente unitamente a quello, di non chiara prospettazione, di «proporzionalità dell’azione amministrativa» – non può essere invocato se non per l’arbitrarietà e la manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata; sotto questo profilo, l’art. 97 della Costituzione si combina con il riferimento all’art. 3 Cost. ed implica lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza sulla legge censurata (v. sentenze n. 63 e 306 del 1995; n. 250 del 1993).

Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, denunciando il contrasto della disciplina censurata con il principio di buon andamento dell’amministrazione, si limita ad addurre il difetto della ragionevolezza e della «coerenza interna» della stessa, senza tuttavia chiarire come tali censure – illustrate, poi, sotto il profilo della presunta violazione dell’art. 3 della Costituzione – finiscano per rifluire, nel caso concreto, sul contenuto particolare dell’organizzazione della pubblica amministrazione e sul principio di buon andamento dell’azione amministrativa che la ispira. Peraltro, alla luce di quanto sopra già evidenziato, nel caso in esame i limiti imposti alla discrezionalità del legislatore dall’art. 97 Cost. non sono stati superati, atteso che la disciplina legislativa denunciata non attribuisce un arbitrario privilegio ad alcuni Comuni, né appare manifestamente irragionevole.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62 (Individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con l’ordinanza di cui in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’ art. 2 della medesima legge, sollevata, con la citata ordinanza, in riferimento all’art. 117 della Costituzione;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 sollevata, con la citata ordinanza, in riferimento all’art. 3 della Costituzione;

4) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 sollevata, con la citata ordinanza, in riferimento all’art. 97 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005

F.to:

Fernanda CONTRI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe Di Paola, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2005.